Il cappello



pubblicato sull'antologia POETI E NOVELLIERI CONTEMPORANEI Edizione 2010


Golden Press - ottobre 2010
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Pensiero critico di Alessandro Mancuso

Due prose divertenti e interessanti, quelle presentate da Piero Simoni nella presente antologia. qualcosa a metà tra il racconto a margine e il trattatello gustoso. L'immagine poetica e fulgida di un antico orologiaio che sfida i tempi odierni, apparentemente così avversi alla sua professione, e una lunga disamina ragionata sui cappelli, indumenti più o meno ornamentali, tanto da mettere a diretto contatto la vista immediata con la complessa personalità di chi vi sta sotto. La scelta non è facile e soprattutto non è mai scontata. Se al cappello corrisponde l'individuo, poi, c'è anche spazio per un finale di prosa enigmatico e profondo...



Il cappello

In uscita bisognava mettersi il cappello da marinaretti, visto che quella era la nostra divisa, la divisa del collegio. Io bimbo, come molti altri, non lo gradivo molto, ritenendo che sciupasse i capelli, come avevo sentito dire; allora il nostro era tutto un cinguettare, le prime manifestazioni di esibizione. In quei primi anni sessanta, si dava dentro di brillantina, rimanendo i capelli appiccicati e certo, il cappello avrebbe lasciato il segno, un rigo, una incavatura non molto gradevole alla vista.
Con gli anni giovanili non ho più avuto occasione di portare cappelli, anzi, per la stessa ragione del disturbo che arrecava, proprio non li portavo mai. Né nel mondo industriale gradivo quei berrettini azzurri con la visiera che, per ragione di necessità, ho dovuto portare. Giovane guardavo sempre gli altri, spesso con giudizio critico, ritenendo di non fare come questo o quello, piuttosto ridicoli, di non vestirmi in quel modo, soprattutto di non portare questo o quel cappello. Brutti, per me, i cappelli a visiera, piuttosto pronunciata, che stavano bene ai figlioli, ai piccoli, gli stessi erano decisamente infantili per i più grandi; né andava bene il "cicìo", anche se per il freddo l'ideale. Sorridere mi facevano anche i cappelli di una volta, a falde larghe tutto intorno alla calotta, ritenendo che uno, molto spesso di una certa età, intendesse nascondere la calvizie, dando poi improvvisamente a vedere il "misfatto". Dopo ho capito, con gli anni, che le cose non stavano proprio così: un calvo porta il cappello per ripararsi dal freddo o dal sole l'estate, non certo per nascondere quello che è. I cappelli, da che mondo è mondo, hanno sempre identificato le persone, specialmente coloro che appartengono ad una istituzione: un vigile ad esempio, si identifica ed ha  una autorità se ha il cappello; senza, vi parla, ma perde molto della sua capacità di convincimento. Lo stesso un cuoco, volete mettere di andare in un ristorante e vedere il cuoco con il classico cappello alto, bianco, a mo' di grande fungo, è tutta un'altra cosa, tutta un'altra suggestione. Anche il chirurgo, per motivi igienici verso il malato, in sala operatoria, si mette una specie di bandana sulla testa, del colore tipico dell'ospedale, riconoscendosi all'istante, con il suo vestiario che fa da completamento. Ognuno che svolge un ruolo ha il suo cappello. Nelle parate militari tutti hanno il cappello, diversificandosi da reparto e zona; fra tanti, ve lo immaginate, se uno non lo portasse, sarebbe una stonatura, sarebbe il signor nessuno! Anche i piloti di auto hanno il loro cappello che nell'esercizio della funzione è il casco; senza è come se uno si fosse dimenticato di qualcosa o, peggio, avesse avuto un incidente e gli fosse volato via. Senza il casco, senza il cappello, ciascuno perde molto della sua identità, della sua appartenenza. Anche le persone comuni scelgono di mettersi in capo quello che gli pare; oggi con minore interesse e attenzione rispetto all'uso  che se ne faceva ad esempio nel dopoguerra, dove questo faceva tutt'uno con il vestito, costituendo lo stesso cappello un elemento di classificazione sociale: tanto più si era ricchi, tanto più si apparteneva ad una famiglia benestante, tanto più il cappello era sontuoso, prezioso. Le stesse donne davano molto risalto al cappello, liberando la loro fantasia, per meglio dare sfoggio della loro bellezza. Oggi questo accade molto meno, in epoca di consumismo globale, le donne lavorano più sull'acconciatura dei capelli che, comunque, si è molto semplificata rispetto a prima, obbedendo ad un tenore di vita molto più celere, dove è necessario avere una capigliatura pronta per ogni occasione.
Anche i preti prima li vedevi con il loro caratteristico cappello, oggi addirittura, spesso, vestiti in borghese. Lo stesso Papa, quando non è officiante, porta la papalina bianca, senza non sarebbe possibile. I cardinali, con i loro cappelli, si distinguono dagli altri preti per una diversa autorità religiosa.
Le persone comuni, si diceva, portano cappelli vari, piuttosto conformi, anche un semplice fazzoletto le donne, almeno una volta; ora no, con la messa in piega o una pettinatura libera, lasciano le teste esposte. Difficilmente si vede un cappello originale, fuori dalla norma, qualcosa che sia una scelta individuale, magari "rottura" può essere anche quella di portare un cappello di consumo sì, ma di altra epoca, facendo un po' sorridere certo, ma soddisfacendo il gusto individuale. Negli anni ho portato comunque vari cappelli, soprattutto per necessità, ricorrendo molto spesso, per il freddo, al "cicìo". L'estate di più mi piaceva portare il cappello di paglia, almeno in campagna, lontano da occhi indiscreti, vicino al mondo contadino che amo, in contrapposizione alla frenesia dei tempi della città. Il cappello di paglia, così arieggiato per la composizione della sua trama, con le falde larghe che mi proteggevano gli occhi dal sole, ed anche il naso, nel quale, a detta del medico, per la conformazione della pelle, è meglio che non prenda il sole.
Non ho mai potuto avere un cappello che fosse di mio gradimento, fintanto che ero coinvolto nel mondo del lavoro industriale, così quando mi sono ritrovato in pensione, complice anche una calvizie, da pochi anni sopraggiunta, mi sono deciso di comprarmi, finalmente, un cappello che avesse un disegno che a me andava bene: ho comprato così il cappello "all'antica", alla contadina della domenica. Fuori dal gusto dei più, lontano dai modi giovanili, ma io non sono più giovane, decisamente diverso e personale.
Sono contento di avere questo cappello, che risponde di più al personaggio che in pubblico vorrei essere: esso mi dà infatti una certa aria, costruisce una figura, che negli altri io accetto. Mi nasconde un po', mi camuffa, unito alla barba propria mi fa essere un altro da quello che, a nudo, sono nelle mura di casa. Copre la calvizie, ma è la cosa che mi interessa meno, di più è il personaggio che vado ad essere, quello che da giovane, guardando le foto di altri, mi piaceva emulare; mi protegge dall'eventuale sole, che nella testa nuda non fa bene, determinando nel lungo tempo, se uno ha la ventura di vivere, delle "patacche" piuttosto sgradevoli e fastidiose sulla testa. Mi protegge il naso come ho detto; mi scalda nell'inverno con la sua stoffa , che non posso farne a meno, ora che ho una certa età. Mi sono talmente inquadrato nel personaggio, che, quando esco, non posso fare a meno di "calzare" la mia divisa: un giaccone ricco di tasche, occorrenti per le chiavi, il portafogli, gli occhiali, un foglio e la matita che mi porto sempre dietro per un eventuale appunto, un libretto di compagnia per quando devo stare in attesa all'ufficio postale, alla banca o chissà dove; la sciarpa in inverno per la cervicale e l'immancabile caldo abbraccio che senti intorno al collo e sulle spalle; in fine il cappello scuro  falde larghe che incassato un po' sulla testa, di più mi nasconde agli altri, facendo vedere di me, quell'altro. Talvolta sono io che mi infilo sotto il cappello e mi lascio portare dove vuole, riuscendo a stento a stargli dietro, ma inzuccando bene la testa per non perderlo. Il vento certo vorrebbe giocarmi un brutto scherzo, farmelo volare via, ma una mano è sempre disponibile a tenerlo fermo, specie dopo quella volta, quando lo avevo appena comprato, di marca al mercatino, che, svoltato l'angolo di una strada, mi è volato in terra e l'ho visto così da me distaccato, sospinto di qualche metro, indifeso e vulnerabile sull'asfalto del marciapiede: una parte di me. A giorni lo vedo uscire da solo, fra i caseggiati delle strade che periodicamente, per adempienze familiari, percorro; galleggiare nell'aria con nessuno sotto e la gente incuriosita a voltarsi, i bimbi a sorridere, di strada in strada come fosse uno strano volatile aggirantesi: nessuno che veda l'uomo, pure invisibile, in carne ed ossa nascosto!

2 novembre 2009