Le parole non servono




Il dottor Mario Viccinelli aveva intrapreso la carriera di suo padre che era insegnante di lettere, così anche lui, dopo la laurea, si era dedicato all’insegnamento. Professione onorevole non c’è che dire, Mario la interpretava con convinzione, come se gli venisse da dentro. Si era specializzato in linguistica, aveva letto moltissimo arrivando ad avere una cultura vasta e al tempo stesso raffinata: la parola come comunicazione, la parola per meglio scandagliare l’animo umano. La sua unità di misura era un libro di letteratura, guardava tutto con queste lenti e gli pareva di aver fatto la scelta migliore, di essere nel giusto. A quarant’anni aveva avuto qualche tentennamento, non era più fortemente convinto che l’uomo avesse assoluto bisogno della cultura scolastica, del saper parlare. Lui che sapeva di oratoria, capace di disquisire su tutto, riuscendo di ogni cosa a farne un teorema, aveva scorto nelle persone più umili, senza quasi la scuola se non quella dell’obbligo, una maggiore comunicativa, una capacità di arrivare al centro del tema: con lo sguardo, la mimica, il silenzio. Gli apparivano, queste persone che nella vita aveva incontrato, più autentiche, a differenza di sé che si sentiva fatto di parole, rendendosi conto di lasciarsi fuorviare, di fronte ad un evento, dalla sua stessa eloquenza, la quale costituiva un ingombro, una nube che frapponendosi e avvolgendo la realtà gli rendeva difficile se non impossibile percepire la stessa nel profondo. Negli ultimi tempi aveva notato che su alcuni argomenti, con sua moglie, c’era più intesa quando spendeva meno parole, risultando più diretto: fosse stato un diverbio, la natura e il tempo avrebbero dato modo di chiarire le cose, di appianarle. Si stava convincendo, se già non era convinto, che le parole non dicono tutto, dando solo un’idea di qualcosa, che è tanto più chiara la realtà perché le cose parlano da sole, basta saperle ascoltare, così come le persone che ora Mario ascoltava o soltanto guardava, stando a loro vicino, a differenza di prima che le sommergeva con l’esposizione del suo pensiero. "Il silenzio è d’oro", citava un proverbio. Il silenzio non acconsente, pensava, ma scardina, urla come gli stessi eventi, e allora la sua cultura, il suo sapere, quello scioglilingua letterario, quell’esercizio da saltimbanco della parola, gli serviva oggi per capire, finalmente, che: le parole non servono.

piero simoni

15/8/1999