Scrivano


pubblicato nell'antologia 2010, "autori della cesare viviani"





Tesseratto Editore - ottobre 2010 - ISBN 978-1-4461-2149-8
stampato a Séville (E)dalla Lulu.com





Il Nuovo Corriere (Lucca)    10 novembre 2010





IL TIRRENO Edizione di Lucca 17 novembre 2010



Scrivano

Da quando era giovinetto Giosué sentiva che avrebbe scritto, che si sarebbe occupato di qualcosa esercitando l'esercizio dello scrivere. Guardava a tal proposito la realtà intorno a sé come se dovesse poi riportarla sulla carta, guardava e non gli sembrava di vivere, ma soltanto di osservare, in ogni contesto in cui si trovava; forse viveva solo quando scriveva. Così aveva cominciato giovanissimo a scrivere dei piccoli racconti, dettati un po' dalla fantasia e, soprattutto, momenti della sua stessa vita, che gli avevano procurato un'emozione. Cominciò a raccontarsi, in modo traslato, ed a raccontare la sua stessa storia, non significante, ma arricchita con il tempo, quando le esperienze  degli anni si sarebbero sommate. Tanto era il suo desiderio di scrivere, quando già era proiettato nel mondo del lavoro con una attività che serviva per la sua sopravvivenza e nulla aveva a che fare con lo scrivere, lavorava infatti da un barbiere e aveva l'ambizione di mettersi prima o poi in proprio, anche se occorreva del tempo per accumulare un certo capitale da riversare nella sua "bottega", tanto era il suo desiderio di scrivere, si diceva, che cominciò a colmare quaderni anche per un diario e addirittura un romanzo, una storia familiare che avrebbe abbracciato varie decade, con risvolti politici nazionali.
Si dava questo impegno dopo l'orario di lavoro, soprattutto la sera dopo cena, e certo non gli pesava, perché era il suo modo di realizzarsi, di riuscire a percepire il mondo, la vita degli altri, che proprio nel salone di parrucchiere gli veniva offerta, per trasferirla nell'inchiostro del suo privato. In fondo Giosuè era soddisfatto, non aveva potuto svolgere un lavoro di sussistenza legato alla scrittura, era riuscito però ad esserne coinvolto, a ricavarne la vera soddisfazione, quella che sentiva ritrovandosi da solo e facendo, per ipotetici lettori, il tribuno. Accumulava nel tempo scritti, blocchi, quaderni che incasellava nella sua libreria, con gli anni sempre più ampia, con mescolanza di libri che amava leggere e dai quali attingeva preziosi suggerimenti per il suo incedere. Distingueva gli scritti giovanili da quelli della maturità, in numero ora piuttosto copioso, avendo cura periodicamente di rileggere gli anni, di metterli a confronto, rimanendo affascinato di rivivere l'atmosfera del tempo, le circostanze in cui erano stati buttati giù, cogliendo un certo rimpianto nel suo animo per il tempo stesso che inesorabilmente se ne era andato.
la sua stanza era colma di carte, riposte un po' dappertutto, sopra le stesse librerie,su scaffali e sui due tavoli che aveva a disposizione: uno adibito alla scrittura, l'altro per tenere sospesi gli ultimi appunti, le scritture, gli stessi libri d'interesse; con il tempo sembrava il ripostiglio di una cartografia, non era possibile immaginare come un soggetto vi si potesse orientare, ma evidentemente a lui andava bene così, visto che non modificava nulla della sua disposizione, anzi, continuava ad accumulare materiale, continuava a scrivere e ad archiviare, come un forsennato, quasi tentasse di strappare al logorio del tempo la sua stessa vita. Scrivendo viveva di nuovo si diceva, ed era proprio così per Giosuè che aveva trovato in questa pratica anche la capacità di sopportare una certa solitudine che gli derivava dall'essere un po' diverso dai suoi amici e coetanei: lui, così straniato e fuori luogo, oltre che fuori tempo.
Gli anni erano passati e della sua "bottega", purtroppo, non ne aveva fatto di niente, non era stato possibile mettersi in proprio. Una crisi generale, che in particolare aveva colpito il suo settore, aveva fatto sì che rinunciasse a questo progetto, dovendosi accontentare di rimanere alle dipendenze, con meno possibilità di guadagno anche se con meno impegno di orario lavorativo.
Ora però era in pensione, poteva disporre di tutto il suo tempo, dedicarsi alle sue carte, continuare la pratica della scrittura ed aumentare i suoi fogli.  Non era una grande pensione la sua, da dipendente artigianale non si fanno faville, ma la libertà era impagabile.
Si era sposato, ma non aveva figli, non perché non li avesse voluti, proprio non erano venuti e, ad un iniziale dispiacere, se ne era fatta una ragione, riversando proprio nella scrittura tutta la sua attenzione e passione.
Sua moglie, donna molto semplice, pareva godere e vivere solo per lui, badando ad accudirlo e ad occuparsene come una madre, una moglie, una sorella, assecondandolo e sostenendolo in ogni sua iniziativa, quasi con devozione, in realtà profondamente innamorata di lui e, bisogna dirlo, sinceramente ricambiata, quasi che la mancanza di figli li avesse stretti in un abbraccio reciproco sostegno: erano una coppia serena, due anime gemelle.
L'esuberanza della sua attività, ora che ne aveva tutto il tempo, aveva portato Giosuè a triplicare, quadruplicare il suo  lavoro di scrittura, nella sua stanza si entrava ora seguendo un percorso fra carte, quaderni, libri, che portava all'uno e all'altro tavolo, vi era anche un tracciato per giungere alla finestra. Non si poteva toccare quasi nulla senza il pericolo di far cadere una pila di materiale, lui stesso, da un pezzo, aveva rinunciato a cercare qualcosa, temendo di sprecare il tempo in una inutile ricerca, temendo di dover rimettere tutto a posto per l'inevitabile smottamento. Non cercava più nulla del suo lavoro passato, si limitava a giungere al tavolo di scrittura per continuare questo suo fare che ora aveva preso un po' il vezzo di una mania. Scriveva di giorno, di sera, di notte, alzandosi quando riteneva gli fosse venuta l'ispirazione, quando qualcosa lo tormentava facendogli perdere il sonno. Un giorno, stranamente, come se fosse venuto il momento, decise di rimettere le mani nel suo archivio, nel suo passato, decise di rileggere come faceva una volta; cominciò così da un angolo della sua stanza, corrispondente ad un certo periodo, leggeva con interesse, con avidità, un altro momento della sua vita da mettere a confronto, rivivere, emozioni su emozioni, carte su carte, ore ed ore, giorni trascorsi nel suo spazio, senza più uscire, preso dall'altalenare del tempo, estraniato dalla realtà quotidiana, dal vivere comune che la televisione puntualmente riportava; rimaneva chiuso nel suo mondo, travolto, sommerso dalle sue stesse carte, una infinità di spessore di vita che ora gli si riversava addosso, colpendolo nella sua psiche, mettendo a rischio il suo equilibrio nervoso. Neanche più lo poteva sostenere sua moglie, che si limitava, ad intervalli cadenzati,  dirgli che il pranzo, la cena erano pronti; Giosuè non sentiva più neppure  il desiderio di mangiare, era diventata questa una cosa scontata, senza appetito, quasi lo disturbava, ed in effetti arrivò anche a non presentarsi più a tavola, facendosi preparare un panino che spesso lasciava incartato sul tavolino. Si nutriva dei suoi stessi scritti, delle sue parole, delle immagini che gli affioravano, delle persone che, già morte, nei suoi racconti faceva rivivere, apparendogli composte in carne ed ossa nella sua stanza, con loro dialogava, argomentando del presente, discutendo anche animatamente; chi lo guardava dall'esterno lo vedeva parlar da solo, con un foglio in mano, un quaderno, come se leggesse, in realtà interloquendo con i personaggi. Una montagna di carte che, sotto il peso psicologico della narrazione, degli episodi concatenati della sua stessa vita, lo schiacciava; di vero, di presente mutevole, c'era solo quella infinità di carte che lo confondevano, lo stordivano, gridandogli che quel tempo era inevitabilmente passato, tutto con ironia gli era sfuggito; pallido, ingannevole il tentativo di riappropriarsene ora, di viverlo insieme alla realtà presente: non c'era più presente, soltanto il vissuto, neanche sufficientemente partecipato, forse solo raccontato. un fiume di parole, un fiume d'inchiostro che ora lo scuoteva, lo sollevava, facendolo sbandare, sbattere in questo o quell'angolo della sua stessa casa, un fiume d'inchiostro che ora se lo portava via, giù per le scale dei piani, annegandolo, con dietro una miriade di inutile carta galleggiante, con lo stupore degli stessi condomini che, a tanto fracasso, fluido sbattimento, incuriositi aprivano la porta, sgranando gli occhi, strozzando in gola una esclamazione, allibiti!


27 febbraio 2010