Poesia Postale - giugno 1982

Poesia Postale -  giugno 1982




















Alcune considerazioni del perché la Mail Art ha trovato e trova tutt'ora grosse difficoltà di autentica affermazione in Italia.

Il  mondo dell'arte italiana, almeno fino a circa cinque anni fa, quando io stesso operavo nel settore come pittore,aveva degli schemi che forse ancora oggi non ha cambiato. Da una parte vedeva e vede l'autore, dall'altra il critico con il gallerista ed in fine il pubblico. Il rapporto è di tipi promozionale, sulla scia dei modelli industriali che creano un prodotto che poi deve arrivare al consumatore e rendere, naturalmente, per quello che si è prospettato. Il tutto viene avvallato con sicura sincerità e competenza, ma questo lo si dice senza che corrisponda alla realtà, anche se possono fare obbiezione taluni casi.
Gli autori più che aiutati, selezionati naturalmente dai loro stessi interessi e dalle loro capacità, vengono "allevati" in una forma di tipo "clientelare", spesso sono di gradimento del gallerista, altrettanto spesso sono di gradimento di un critico di fiducia della galleria. Si cerca allora di ingraziarsi il critico che "conta", seguendo magari i suoi orientamenti mentali, meglio ancora farsene un amico, per vedere inoltrato il proprio lavoro al gallerista; l'avvallo di un gallerista che conta è garanzia di penetrazione nel tessuto popolare, già selezionato dalla impostazione della galleria, che è disposto quindi, nel rituale di questo gioco delle parti, ad accettare il "prodotto finito", "l'oggetto" d'arte. Accade che persone che non dicono niente sul piano artistico, trovino per "altre vie" la fiducia, l'appoggio dell'uno e dell'altro e quindi "sfondino"; con la tecnica dell'impreziosimento e dell'aiuto pubblicitario.
Il tutto concorre quindi a creare un mercato, a soddisfare bisogni economici e a placare esigenze di vanità o rapporti mondani, nell'accettazione reciproca dei vari ruoli, nell'interesse reciproco di difendere questa istituzione. La cosa direi ha un carattere "statale". Coloro che non riescono ad inserirsi in questo "sistema", hanno la sola possibilità di muovere critiche ad una istituzione inattaccabile, tanto è il suo suffragio di maggioranza e di interesse, quindi pseudo critici e rampolli artistici vengono relegati in ghetti, in vociferazioni di poco conto; si fa presto a dire che la sola cosa che li muove è l'invidia, perché tutti coloro che si dilettano nell'arte vorrebbero essere degli artisti riconosciuti dalla società.
Nella logica del potere il Dio è il denaro, chi non accetta è emarginato, senza possibilità di appello. Retorica, idealismo, ingenuità, voglia di arrivare a dividersi la torta anche da parte di chi ne è escluso, ecc... argomentazioni tutte dette, parole, che come tali non cambiano le regole del potere.
Le esperienze di massa che si operano in certi comuni di sinistra, dove tutti espongono, non modificano i connotati della situazione, forse perché al di là della esposizione come partecipazione non ci si pone con convinzione critica contro una gestione di tipo mercificatorio e speculativo.
In questo contesto allora il critico è una figura preminente, dalla sua penna pendono le teste dei novelli autori, gli stessi interessi economici del gallerista pendono dalla sua penna. Tutti naturalmente cercano di ingraziarselo e di averlo sicuramente dalla propria parte.
A parte alcune eccezioni, la regola comune fa si che i novelli autori vadano dai critici a fargli vedere la produzione, in modo che questi li consigli, li appoggi in mostre e cataloghi; la serietà del critico potrebbe salvare il decorso, ma questo purtroppo non sempre coincide con gli interessi superiori, certe innovazioni ad esempio non rendono. Si assiste ad una nuova pratica del mecenatismo ma in questo senso deteriore perché qui si tende a coltivare e a salvaguardare i propri cavalli di scuderia; non l'arte per l'arte ma l'arte che rende economicamente e tutti gli argomenti che gli consentono questo "successo".
Il tessuto socio culturale in cui si innesta questa pratica dell'arte è abbastanza distratto e disinformato, solo una piccola parte segue, ma è sufficiente a mantenere la struttura in piedi e in definitiva, dall'altra parte, quello che ci si propone è di "accaparrarsi" solo una fetta di pubblico, quello disponibile. In questo contesto la Mail Art può essere ben accetta dalla cultura ufficiale italiana, perché essa sconfessa il gallerista, il critico, il concetto di prezioso e quindi annulla il mercato. Quello che si tende allora a fare è di ignorarla, di relegarla al ruolo di masturbazione intellettuale di un gruppuscolo di emarginati. Fermo restando che là dove risulta incontenibile per la sua forza di rottura e per l'impegno pubblico degli artisti mail, viene allestita una mostra da un esponente della cultura ufficiale, un po' come contentino per tacitare le contestazioni, un po' per darsi una veste  d'interesse alle "avanguardie", un po' perché non si sa mai, questi "disgraziati" potrebbero essere degli artisti di domani. Vedi alcune esibizioni pubbliche patrocinate da esponenti della cultura ufficiale che hanno dato vita a nessun serio dibattito teorico sul fenomeno, né alla sua presa di coscienza.
La Mail Art
, esportata dall'America nemmeno dieci anni fa (in termini concreti), è cosa nuova per la stessa area alternativa italiana, dove c'è il potenziale per arrivare a far propria questa disciplina, ma della quale non si conoscono i connotati. Essa infatti viaggia per posta da operatore/fruitore a fruitore/operatore e non ha che una rete di comunicazione interna.
Emerge allora una indicazione per come si può' operare per aiutare la Mail Art ad affermarsi in Italia; occorrono esibizioni, dibattiti e convegni pubblici che allarghino la sua sfera di conoscenza e di appropriazione. (Per il concetto della Mail Art si rimanda alle varie pubblicazioni interne come quelle di Romano Peli, del sottoscritto  ed altre ancora)
La Mail Art, così come oggi è in Italia, vede l'interessamento di un discreto numero di operatori, ma purtroppo è è anche palese un certo fraintendimento, cioè ci sono autori che non rispettano il concetto di comunicazione reciproca prendendo in prestito la stessa Mail Art per pubblicizzare il proprio  lavoro. Altri che tendono a scremare il gruppo (non si sa però con quali criteri e diritti) per fare in definitiva una elite nella Mail Art ed ancora qualcuno che opera con criteri ufficiali mandando cioè il lavoro alle pubblicazioni interne e basta, invalidando così la comunicazione. La folta presenza degli artisti italiani nelle esibizioni internazionali non deve quindi far pensare alla piena affermazione di questo fenomeno nella nostra penisola.
Dai primi anni in cui la Mail Art si è manifestata, prevalentemente come uno scambio reciproco, si è passati oggi ad un più accentuato convogliamento di lavori su un tema dato; la cosa è senz'altro positiva per la sensibilizzazione, la partecipazione, per quel discorso che abbiamo già fatto sulla divulgazione, però non trascurerei la comunicazione individuale che è altra cosa, a mio parere fondamentale, quella che dà la massima garanzia di incontaminazione.
Il coinvolgimento su un unico tema è anche positivo per l'effetto stimolante, di verifica e quindi di accrescimento delle proprie idee, di aggregazione in termini sociali.
Come abbiamo visto è necessario allargare il raggio d'azione della Mail Art, in questo senso alle esibizioni, agli incontri, ai momenti promozionali su tema, si aggiungano le pubblicazioni del versante ufficiale, certamente utili per la maggiore tiratura che possono avere andando ad informare e a "conquistare" gente momentaneamente fuori dal "nostro giro"; ma c'è un pericolo, il pericolo della "storicizzazione". Storicizzare oggi l'arte postale, quindi specificatamente quella italiana, significa passare alla storia un movimento che ancora non si è compiuto, significa spezzarne il suo slancio creativo, mortificandolo sul nascere; per utile dei mecenati dell'ufficialità che hanno bisogno di rendere sicuro il prodotto, quindi la deformazione dell'ideologia dell'arte postale e dei suoi autori. L'arte postale ha bisogno ancora di crescere, dovranno passare degli anni prima che sia matura, dopo non sarà una delle tante correnti di arte moderna, ma quella che decisamente si pone in antitesi al vecchio concetto di arte; che già vive di vita propria. Non dovrà essere accettata dal sistema, ma nel cimitero lasciato dalla speculazione artistica sarà forse la sola cosa vivente.
Sarebbe forse più opportuno lasciarla sempre allo stato di pura "alternativa"; il sistema dell'arte ufficiale, simile ad una grande piovra, è capace di assorbire questa "novità" e renderla "commestibile"; meglio forse non pensare all'ufficialità e contrapporre alla mercificazione, alla putredine la vitalità, la purezza, impegnandosi a divulgare questo messaggio, questa speranza, lasciando alle persone oneste la loro libera scelta.
Su questo punto è bene che ognuno si pronunci, così come su tutto l'argomento di questo mio intervento, inviando il contributo oltre che a Giampiero Bini per Original Art, al sottoscritto per Poesia Postale. Insieme, nel confronto, potremmo fare un po' di chiarezza e quindi capirci meglio e capire meglio la nostra posizione e il nostro periodo storico culturale, fermo restando che una risposta definitiva la darà il tempo, il quale darà anche spessore dei nostri tentativi, della nostra capacità. Speriamo di non banalizzare una esperienza, di non sciupare quello che potrebbe essere un momento significativo in una situazione generale scarsamente significante, avremmo allora anche noi la nostra parte di responsabilità sull'insuccesso della Mail Art. Quindi non alla ricerca del successo personale e di gruppo secondo i canoni ufficiali, ma alla piena valorizzazione della comunicazione che è un momento di aggregazione fra individui, un recupero e una affermazione di tutti, in una società artistica ed umana in cui non ci sono fiduciari, delegati che operano per noi, che rappresentano la "cultura", la "fetta creativa" degli uomini; dove non ci sono piani, disparità (autori, critici, fruitori, mecenati, ecc...), ma ciascuno operante, per esperienze diverse, che s'incontrano, che si accomunano, in uno scambio reciproco, per una crescita morale, spirituale, sociale di tutti, senza quindi l'unità del prezioso che deforma, spesso arbitrariamente, l'operato, e non per essere tutti artisti alla pari, per "censurarci" con una libertà totalitaria, semplicemente per esaltare la creatività che è in ciascuno di noi, la nostra esperienza di vita, lontana da una esperienza speculativa che non mortifichi i suoi slanci.
L'arte allora sarebbe un'altra cosa, non più "genialità", non più "divino" di alcuni eletti, ma operosità di tutti per un confronto uno scambio che è reciproco arricchimento che è vitalità. La stessa parola ARTE va intesa in un altro senso, invece che "prezioso particolare" diventa "operosità di tutti"; in questo senso allora sono d'accordo con chi dice che l'arte è morta, ma è morta l'arte di tipo speculativo, di stampo borghese, perché gira su se stessa, rinnova i suoi autori spesso come fossero nuovi prodotti commerciali da immettere sul mercato, senza più idee, senza più aderenze col tessuto sociale; si opera, si esibisce per cogliere una fettuccia della torta, consapevoli che il gioco è questo, che la società avanzata dei costumi relega in questi schemi; si bada naturalmente a infiocchettare l'operazione con provanti motivazioni culturali e autentiche moralità.
Deve nascere invece, se non è già nata, l'arte di tutti, l'arte come scambio, come momento riqualificante per ciascuno di noi, l'arte senza dollari, senza mediatori; deve cessare l'arte come investimento, più semplicemente come speculazione interessata. un'arte che più che nuova sia l'esatto contrario di quella che l'ha preceduta, che vada verso l'operosità di tutti anziché verso la morti-ficazione generale; è necessario riappropriarsi dell'arte, come un bene nostro, di ciascuno, che non si deve regalare pena la perdita di un autentico bene.
Dall'arte alla poesia, dall'arte postale alla poesia postale poi, il passo è breve.

                              Li, 7/3/'82                                  piero simoni