1970

Mostra a Livorno dal 7 al 20 novembre 1970, "Boutique del Quadro"
 

"Una barca" - olio su tela, 40 x 60


                         Dalla presentazione di Giorgio Fontanelli


Presentare un “nuovo pittore” non vuol dire, sempre e necessariamente, presentare un “pittore nuovo”: vuol dire spesso aiutare il suo incontro col pubblico, dando a quest'ultimo alcuni elementi che possano far meglio intendere il senso del lavoro di un uomo e la sua storia. Perché Piero Simoni viene a questa prima personale in piena, e direi quasi indifesa nudità, offrendosi senza artifici né ripensamenti nella sua ancor breve vicenda umana ed artistica. Forse, un po' ingenuamente e precocemente. Ma nessuna mostra, per nessuno, è un traguardo: bensì, più spesso, e specie la prima, una specie di test, di strumento, o se volete, un pretesto, per imporsi – da una parte – il bilancio privato di un determinato periodo di ricerca e di lavoro; dall'altra, per chiedere agli altri (come interlocutori, e non necessariamente come clienti), e soprattutto ai compagni di strada, qualunque contributo che possa aiutarlo a collocare più criticamente e chiaramente la propria opera, attuale e nel suo divenire.

La quale opera, come si vedrà, è tutt'ora appunto, nel Simoni, in pieno e sconcertante sviluppo, più di quanto non si debba augurare a un pittore il quale, per rispetto di se medesimo e degli altri, deve un po' sempre evitare atteggiamenti di maniera, che spesso segnano la fine di un artista.

Dalle prime cose (“Autunno”, “Primavera”, “Fortezza Vecchia”) in cui, quasi intimidito e condizionato dalla scoperta della natura, con la quale entra in una specie di gara, disperata ed ingenua insieme, di verosimiglianza, con risultati puramente strumentali e provvisori, Piero Simoni passa lentamente a ridurre questa soggezione (già con i due “Vecchia Livorno”, e con “Una donna” e “Tramonto”; ma soprattutto con “Verso Calambrone”), deformando salutarmente il paesaggio con una più personale intepretazione. Così, da quadri affollati di colore, con effetti talora puramente scenografici, il Simoni giunge ad un positivo impoverimento della sua tavolozza, a un linguaggio più sobrio ed essenziale, più umile ma insieme intimamente forte e consapevole. Fino a giungere (sia pure, per ora, episodicamente, in “Pensiero”) ad una rottura quasi polemica ed imprevedibile con il “vero”, con un pezzo che forse è una indicazione da tenere presente per la sua futura carriera poetica.

In tutti questi momenti ancora discordi, che - come dicevamo – vanno visti un po' in prospettiva, c'è tuttavia una costante: ed è la solitudine in cui ogni elemento è spesso immerso. Solitudine che va dall'assenza insistita o dalla precarietà della figura umana nel paesaggio alla ossessiva pesantezza dei cieli sulle cose (“Stazione”, “Silenzio”), alla fissità indecifrabile e spietata di certe atmosfere (“Una barca”, “Un autobus”: le cose dove forse il Simoni raggiunge risultati più validi e stabili).

Barche ferme che nessuno ha ormeggiato, ombrelloni dimenticati da una umanità fuggita per sempre, rare figure riarse da un sole senza gioia sopra una città immobile ed impotente: questa la testimonianza che il Simoni ci porta del nostro tempo malato scoperto e sofferto come solo i giovanissimi per loro virtù e per loro condanna, possono ancora fare.


Giorgio Fontanelli