Poesie - Autunno 2008




In copertina:  Luce - di Piero Simoni (2009)
Poesie - Autunno 2008
gennaio 2010 - ISBN 978-88-95880-42-6

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Introduzione di Enica Moscato a "Poesie - Autunno 2008", di Piero Simoni, Leonida Edizioni, 2010

 La poesia di Piero Simoni è il canto di un'anima che si nobilita nella scrittura, metodo d'evasione e luogo in cui raccontare il disagio esistente tra la propria voce interiore e il mondo esterno, così pervaso e tutto dedito alle leggi dell'economia, così lontano dai problemi della gente, dai problemi delle anime. Il poeta si pone in contrasto con tutto questo, con un'idea di progresso che non guarda in faccia nessuno, che spersonalizza e porta all'alienamento. Anche Simoni è in qualche modo un alienato, sì, ma nel suo voler vivere la vita senza lasciarsi costringere negli schemi costruiti da una società nella quale non si rispetta, vivendo alla luce di qualcos'altro di più profondo e valido, anche se ciò dovesse portarlo al contrasto profondo con la realtà urbana.
 L'attenzione del poeta è spesso rivolta alla natura, al voler fondersi con essa, al desiderio di sentirsi un elemento naturale allo stato puro. La natura è percepita come fonte di primitiva verità, è un essere vivente, è madre a tal punto che per descriverla vengono usate parole cariche di senso di umanità.
 L'autore guarda al mondo campestre come alla genuinità, al ritorno ad una vita fatta di essenzialità, quel senso dell'essenziale che sembra ormai andato perso perché i continui mutamenti della società ci ricordano che dobbiamo necessariamente adeguarci al nuovo, anche se questo sarà a sua volta sostituito da qualcos'altro in un tempo fulmineo.
 La realtà urbana viene invece percepita come antitesi al contesto naturale: quando la città si sovrappone alla natura questa sembra trasformarsi in un intralcio, è necessario dominarla e spesso distruggerla.
 Non mancano nella silloge riferimenti all'attualità, al terrorismo, ma soprattutto alla sofferenza umana, al disagio degli anziani in una società che li accantona in istituti sterili e li dimentica: nella logica del mondo contemporaneo il nuovo si sostituisce al vecchio senza soluzione di continuità, senza che a questo venga dato il giusto tributo e il rispetto per quello che è stato, per la parte di storia  che ha rappresentato.
 Tutto questo e tanto altro ci viene raccontato con la solita maestria che contraddistingue la scrittura di Piero Simoni. I versi sono limpidi e chiari, è facile calarsi nel mondo interiore di questo poeta e condividerne le emozioni, le sensazioni, i paesaggi, quasi riuscissimo anche noi a vederli con i suoi occhi.
 Tra i protagonisti della silloge riemerge inevitabilmente la realtà industriale dalla quale l'autore proviene, e il sentimento che non trova posto nella condizione di estrema sterilità che questa società porta con sé, arde nella silloge, nelle poesie del dolore per non aver capito la profonda sofferenza di un collega, nel rammarico per non aver percepito l'estremo bisogno d'amore di un altro conosciuto solo superficialmente. Questa è la coscienza di un uomo la cui sensibilità si ribella a questo mondo, un uomo che si sforza di dare il suo contributo affinché queste situazioni di abbandono possano essere arginate. E' l'impegno sociale di questo poeta che si esprime attraverso la scrittura.
 Perché anche noi crediamo ancora che il nostro impegno sociale e umano possa passare attraverso le pagine di un libro, e salvare il mondo.
Enica Moscato

Recensione di Pietro Puleo a "Poesie Autunno 2008", Leonida Edizioni, 2010

 Muoversi lungo un sentiero anomico non è mai cosa semplice; anzi, spesso serve una buona dose di arguzia.
 Piero Simoni, di certo, mostra le mani libere da impicci e dimostra, ancora, di aver percorso la sua voce interiore. Il narrarsi attracca al molo di speranze nascosto dall'agglomerato industriale, e la voce si fa pesante e amplificata. In quasta sua raccolta, megastore poetico acre e maturo, si delinea un tracciato mutevole di realtà, più che di sensazioni.
 Una tangibilità espansa, moltiplicata e frammentaria. Le costanti certezze, le quali non tradiscono l'uomo (come invece fa il mondo che esso stesso ha creato intorno a sé), sono il mare, gli autunni e i tempi (la val d'Orcia). Plurime meraviglie frastornate s'impossessano del poeta, o del creatore dell'attimo (nella sera d'ottobre), nell'ottobre filtrato e negli ulivi. Gli affetti s'insinuano nel proprio ciottolato, nelle voci tramandate dagli avi, veicolate da freddi penetranti, fino a che ci si possa sentire "in assenza di tempo / a loro / più vicino" (penetra nelle mie ossa il freddo).
 Spesso viene messo in scena l'individualismo diffuso, dal personale al collettivo (le foglie gialle di acacia a terra, cammino al paese). L'età canuta si fa compagna del viaggio, della parte marginale dell'ambiente, che si offre come principale fonte d'ispirazione per delle azzeccate attinenze simboliche (i platani di piazza Mazzini). L'età canuta, nella sua espressione, diviene paradossale, asimmetrica e contrastante all'interno dei contesti sociali; per tale ragione, maturano cambiamenti che virano dall'estetico all'intrinseco (tredicenne mi pettinavo i capelli) e riflessioni sulle dimensioni terrene (scivolasti dalla custodia).
 Proprio quest'ultime affrontano il tema frequente della morte ("dovevi morire perché mi accorgessi di te", scivolasti dalla custodia), quasi sottilmente, per poi approdare in situazioni più concrete, con amari ritorni alla condizione dell'anonimato e della solitaria, e per questo deturpata, esistenza, "con la maschera della morte / calzante sul viso / e il carnevale lontano" ( mi presentai un tardo pomeriggio); ciò influisce nei numerosi incontri con l'altro e in alcuni rimorsi relazionali (l'affisso murario, una sera davanti al supermercato, nei riquadri di terra dei più, nella stessa ditta). Nelle rimembranze, i giochi accompagnano le "gioie mutilate" dei collegi (si giocava su un albero del collegio, della scuola dell'avviamento). Tra i ricordi del collegio e paesaggi in ciclico decadimento, si materializza l'opprimente presenza del mondo industriale, per il quale avviene una "lunga e tediosa spoliazione / degli slanci della mente" (improvvisamente nei collegi). Il lavoro operaio farcisce le " cattedrali del deserto" di risorse umane, nella terribile paura di rimanere fuori dalla memoria o, meglio, nella persistenza di una malata memoria fatta di "altre storie / che si consumano / si sovrappongono / sommandosi per diventare numero / statistica" ( sono tornato dalle parti); la fabbrica, con risonanze attuali, forgia personalità ( ho visto gente matura al bordo, nei miei ultimi anni industriali) e si fa ingranaggio di un meccanismo capitalistico senza scrupoli "per l'inafferrabile progresso / tutto asservito / all'economia di mercato / in movimenti preordinati / sul grigio asfalto incolonnati" ( gente condannata dall'amianto).
 
Non mancano, così, lamenti per la propria condizione lavorativa, i quali si rivelano inutili al cospetto di un ospizio obliato, "ultimo stadio / rimprovero della nostra efficienza / della nostra bella società" (ho visto all'ospizio). Questa omissione d'impegni si riflette nel critico contorno della metropoli e della terra ferita e alterata (l'aria purissima e secca che espone, nella camminata al mare, il sole d'autunno).
 Piero Simoni testimonia, al di là delle inferriate scomode, la genuinità ( era l'odore del pane ) e la speranza proprie della terra brulla, anch'essa madre onnipresente e accogliente: "lo sguardo a lungo sostenuto / ai campi lavorati della val d'Orcia / nella luce mutevole del giorno / di ogni passaggio / ai colori collinari / al cielo / finché il corpo e la mente arrendevoli / alla quiete" ( lo sguardo a lungo sostenuto).
 
Poesie (autunno 2008), dunque, ha qualcosa di estremamente attuale, testamentario e popolare, composto col sudore e con le mani:
 Mani in pasta, mani unte, mani libere.
(p.p)